16 Maggio 2024

Per un paio di giorni sono stata in una casa di fuorisede tutta al femminile, che mi ha trasmesso un senso di italianità che visto in questa sua sfumatura giovanile mi ha fatto sorridere. 

Di quell’ appartamento studentesco che affacciava su un fruttivendolo e una pizzeria, ciò che mi ha colpito di più è stata la cucina, che, in tutto il suo ordine, aveva l’aspetto di un luogo vissuto e autentico. Ogni mattina e primo pomeriggio era pervasa da odore di caffè, bevuto quasi sempre in compagnia sedute al tavolo lungo accostato al muro, o in piedi vicino alla finestra spalancata. Mentre ad ora di pranzo si riempiva di pentole in cui far bollire l’acqua per la pasta o padelle in cui far rosolare le verdure, accompagnate da un brusio allegro di voci e contenitori che vengono aperti e chiusi ripetutamente.

E tra scaffali pieni e molteplici macchinette del caffè, ho avvertito un senso di vita adulta che ho sempre associato con difficoltà alla vita universitaria. Era una casa che funzionava come una casa, con delle responsabilità che ai miei occhi parevano più reali. E aveva un suo equilibrio, con degli ospiti fissi e dei rituali quotidiani, che un po’ mi hanno ricordato una famiglia italiana, di quelle che pranzano assieme con il telegiornale di sottofondo. In questo caso la televisione non c’era, ma un comunicato degli avvenimenti più salienti veniva riportato ad ogni primo pasto condiviso della giornata, con tanto di analisi e commentario. 

Quell’appartamento al femminile aveva qualcosa di sinceramente tradizionale che espresso dalla quotidianità di quattro giovani ragazze mi ha sorpreso, forse perchè avevano un modo di vivere l’una con l’altra da grandi, più maturo di quello che conosco io. Era una casa di studentesse che sapeva tanto di realtà, una di quelle dall’odore di moka.

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