19 Settembre 2024

Conosco una ragazza che brama l’amore, che ne desidera i palpiti e l’intensità. E che mentre ne insegue le ombre, è bellissima, anche quando le sfuggono via. Tuttavia, credo raramente si sia chiesta ciò che per lei realmente rappresenti, quali forme abbia e quali modalità adotti. Lo associa con naturalezza a qualcosa di prettamente pulsionale, fatto di emozioni forti da collocare e avvertire in diverse parti del corpo. Un pugno nello stomaco, un nodo in gola, le gambe tremolanti, il volto paonazzo. Una dimensione profondamente condivisibile con il mondo esterno, d’immediata rappresentazione. Da un po’, però, ha iniziato a domandarsi se questo sia davvero amore, se non sia semplice infatuazione o pura idealizzazione. D’altronde mi racconta che per lei la linea è sempre stata parecchio sottile. “Se fosse invece agio e conforto, un’intesa di quelle spontanee e genuine? Se non avesse bisogno di conferme e certezze? Se fosse dunque totalmente naturale?”
Ha provato qualcosa di simile, ma fatica a trovare un nome per definire quella sensazione talmente densa e intima. “Si può amare senza avere le farfalle nello stomaco? Oppure c’è bisogno di una stretta nel petto che scompensi l’animo? Fino a che punto si può sentire l’amore addosso?” 

Mi fa queste domande che in fondo so che vuole rivolgere a se stessa, ma mi guarda con occhi fiduciosi, come si aspettasse che io possa fornirle davvero delle risposte, delle soluzioni per la sua difficile ricerca d’amore. E quando cala allora il silenzio, è tenerissima. 

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