19 Settembre 2024

In un angolo di un parco di una piccola città del sud della Svezia ci sono due panchine che si affacciano delicatamente l’una sull’altra, che si sfiorano come in genere succede agli animi di chi ha paura di innamorarsi, o non è abituato ad avere vicino un animo affine. Una è orizzontale, pare a proprio agio, mentre l’altra, in diagonale, freme dal desiderio di avvicinarsi a tal punto da poter formare un angolo che circoscriva lo spazio di un’intesa che vorrebbe definire. Sulla prima si posano gambe che, con disinvoltura, di tanto in tanto si incrociano. Sulla seconda ginocchia che con una certa regolarità tremano.

Sulle stesse due panchine si proietta un’altra storia, di due amici di vecchia data che si raccontano la vita come hanno sempre fatto. Uno accanto all’altro, appoggiati alle estremità che quasi si toccano, seduti scomposti, senza doversi guardare negli occhi, che parlano senza imbarazzo, con le braccia distese sullo schienale. Uno sorride e si accende una sigaretta, l’altro ha gli occhi distratti. 

In un pezzetto di verde al nord del mondo ci sono due panchine rivolte su cui forse ognuno vede ciò che vuole, fantasticando nella semplice geometria di un angolo acuto che delinea uno spazio intimamente umano, la cui declinazione è soggettiva.

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