19 Settembre 2024

Un paio di sere fa ero a cena con un amico nella mia non più tanto disordinata cameretta. Intento a mangiare uno sformato di patate e lenticchie che per qualche strano motivo lo rendeva estremamente di buon umore, mi ha confessato che dalla vita avrebbe voluto un quoziente intellettivo più alto, o qualcosa in cui eccellere davvero.
Avevamo già affrontato un discorso simile tempo fa, su come sapere esattamente cosa si vuole fare sia un grandissimo privilegio, e di come l’avere qualcosa in cui canalizzare tutte le proprie energie sia più raro di quel che si pensi. Il mio amico crede di essere brillante e sicuro in ciò che fa, ma non lo considera abbastanza suo da considerarsi geniale. 

A tal proposito, intenta a mangiare tacos involontariamente scomposti, gli ho chiesto cosa significasse per lui essere geniale, se potesse farmi un esempio. Mi ha parlato di un modo particolare di essere, a metà tra l’anticonvenzionale e il complicato, e che a tratti confonde. Che segue una logica tutta sua e dà sempre qualche tipo di significato alle cose, anche quando non le capisce a fondo. E che è perfettamente riconoscibile, coerente in quello che fa.

La genialità, se ho capito bene, sta dunque nell’interpretare il mondo in un modo proprio, eccellendo nell’essere se stessi. Forse dovrei prestargli i miei occhi per guardare se stesso, o di imparare semplicemente a conoscere meglio i suoi.

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