16 Settembre 2024

Ieri ero a cena con gli amici di sempre, ma in me è successo qualcosa di diverso.
Con la pancia piena e la voglia di parlare di qualsiasi cosa fosse lontana da econometria, sistemi democratici e principi di welfare, ci siamo ritrovati a discutere di bellezza.
È un argomento ricorrente nelle nostre conversazioni, che emerge in modo costante e velato.

Credo sia dovuto al modo in cui immagino loro vedano il mondo, come se tendessero naturalmente a gravitare verso l’armonia.
Invidio tale leggerezza, tuttavia scoprire la dimensione esteta di chi mi circonda mi mette sempre in grande difficoltà. Come se la curiosità verso ciò che attrae gli altri fosse in qualche modo frenato dalla paura di riconoscermi diversa da ciò. D’altra parte, anche l’idea di poter rientrare in una qualsiasi definizione o immagine convenzionale mi procura tanto disagio.

Mi chiedo se sia una sensazione più comune di quello che penso, se a qualcun altro capiti di non sapersi percepire in un modo che sia giusto per sé e per chi lo guarda.
Intenta in modo maldestro a spiegar loro questa mia strana insicurezza, mi interrogavo su come i miei amici avessero imparato ad avere consapevolezza di sé. Dal modo in cui parlavano l’altra sera, mi sembrava ne avessero tanta. Forse sanno davvero piacersi.

Poco dopo mi sono accorta di star analizzando, come spesso accade, l’anatomia dei miei ricci fuori posto, e di riflesso ho sorriso. Mi sono vista vivere, e ai miei occhi è parso bello. Mi sono riconosciuta nella verità di quella che voglio sia la mia identità, anche estetica.
Questa è la storia di come ho capito, dopo una cena con gli amici di sempre, che forse la consapevolezza di sé non si impara, ma succede. E a me piace pensare che non ci sia nulla di convenzionale nella percezione si sé e degli altri, e che questa sia bellezza.

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