L’orizzonte grigio
Si può fare molta retorica sulla vecchiaia. Sull’età che si vorrebbe annullare, inseguendo l’eterna giovinezza del corpo e dell’anima. I modelli sociali dominanti ci propongono continuamente strategie di lotta contro il tempo, per allontanare ed esorcizzare l’ultima stagione della vita. Possiamo forse meglio guardare ad essa con pacata naturalezza, con tranquilla accettazione. Possiamo accettare una serena rinuncia al mito dell’eterna giovinezza, del tempo, certo bello, della violenza acerba del corpo e della mente. Andando per borghi e paesi capita di vedere donne anziane sugli usci, nella loro commovente fragilità. Possiamo fermarci a parlare sulle soglie, guardare con dolce disincanto le pieghe minute e profonde della pelle di chi è tanto avanti negli anni e restare sorpresi della cura che esse continuano ad offrire a se stesse e al mondo intorno a sé. In questa cura c’è un senso profondo di dignità umana, che ci tocca. Lo sguardo può essere fioco, il passo incerto, la mano malferma, eppure colpisce la commovente tenerezza del passo della donna che si muove su un uscio, tra il dentro della casa e il fuori del mondo ormai lontano e disperante dalla vita dei vecchi. Nel mistero della vita umana, c’è l’alto e ineludibile passo dell’invecchiare. Eppure quante volte guardando il viso di vecchie donne sedute su una sedia al sole, sull’uscio di una casa-mondo custodita con disperata puntigliosa cura, difesa come se lì la vita dovesse continuare per sempre, noi percepiamo con inspiegabile commozione la stupefacente dignità di una persona che vuole la dignità di persona fino alla fine. Questa dignità dobbiamo guardarla con venerazione, come si venerano le cose sacre proprio perché, come scrive Franco Arminio, “”Sacre le vecchie che si svegliano presto / per tenere pulita la casa“”.