25 Aprile 2025
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Un simpatico esercizio di fantasia è la costruzione di mondi e dimensioni diversi tramite la semplicità di azioni estremamente quotidiane, come il decidere di mettersi o togliersi gli occhiali. Un rito che segna il distacco da una realtà e l’ingresso in un’altra, attraverso un aggiustamento speciale che dà forma a sensazioni da lontano confuse e uniformi per chi è miope, e restituisce contorni e identità a ciò che è vicino per chi è presbite. 

Tuttavia, la scelta di indossare gli occhiali va ben oltre la semplice percezione visiva delle sagome che popolano il mondo: rappresenta bensì un atto di consapevolezza, un preciso modo di filtrare della realtà. Si configura infatti come strategia precisa di vivere la vita, in quanto decisione ponderata. Avere coscienza di vedere vuol dire decidere di vedere, con tutte le responsabilità che la chiarezza comporta. 

Allo stesso modo, scegliere di non vedere diventa un atto altrettanto carico di significato. Togliersi gli occhiali può essere un modo per sfuggire alla nitidezza, rifugiandosi nella sfocatura che rende il mondo meno definito, di più creativa interpretazione. Dietro questa alternanza tra limpidezza e sfocatura permessa da un paio di lenti si cela un gioco sottile di interpretazioni, in cui il modo di guardare la realtà rispecchia il modo di viverla e, dunque, di situarsi al suo interno. 

Si tratta di un gesto che diventa il filtro di una sensibilità che viene consapevolmente orientata attraverso ad una scelta apparentemente banale e ordinaria. Buffo pensare che gli occhiali siano forse il principale strumento di autorappresentazione per chi ne ha bisogno.